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Lasciarsi amare e liberare da Dio: il cammino di santità
Dal 2 al 7 luglio a San Giovanni Rotondo presso il Cenacolo di Santa Chiara hanno avuto luogo i nostri esercizi spirituali annuali. Quest’anno sono stati predicati da Don Luigi Maria Epicoco sacerdote dell’arcidiocesi dell’Aquila, teologo e scrittore, che ci ha sapientemente e abilmente condotte all’interno dell’Esortazione Apostolica “Gaudete et Exultate” di Papa Francesco offrendoci come chiave interpretativa di questo splendido documento l’espressione “Lasciarsi amare e liberare da Dio:il cammino di santità”. Sono state giornate molto intense, intessute di preghiera e di silenzio, attraversate da un clima sereno e gioioso, nelle quali lo Spirito Santo ha potuto davvero lavorare dentro di noi e la Parola di Dio mettere radici nei nostri cuori. Un pensiero di profonda gratitudine va a Don Luigi che ha saputo con estrema chiarezza e competenza condurci ad un vero e proprio viaggio nel “deserto” della nostra interiorità fino a giungere nella parte più intima di noi stessi, sacrario della presenza di Dio.
Silenzio non solo di parole, ma soprattutto di pensieri e di emozioni: ecco i tre gradi attraverso cui è possibile varcare la soglia della propria interiorità. Questo “ silenzio” non consiste tanto nell’accanirsi “contro” i pensieri e le emozioni, ma nel “de-potenziarli” imparando a chiamarli per nome e ad osservarli come chi si pone “di fronte” ad essi fino ad impedire loro di esercitare un dominio su di noi. Don Luigi ci ha ricondotte soprattutto alla “concretezza ” della santità che non ha a che fare solo con la sfera “spirituale”, ma è intimamente connessa alla nostra psiche e alla corporeità, come è successo al ragazzo epilettico guarito da Gesù (cfr.: Mc 9,14-29). Si può essere santi quando tutto il nostro essere incontra Cristo e si sente attraversato dal suo amore: corpo, psiche ed anima. Spesso però in noi convivono due forze contrastanti: da una parte desideriamo essere amati, dall’altra respingiamo l’amore. È, allora, importante chiedersi qual è il sentimento che ci ostacola nell’incontrare Cristo, che cosa in noi fa da impedimento alla Grazia e poi metterlo dinanzi al Signore nella preghiera.
La preghiera, quella più autentica, è una sorta di “fisioterapia” che ci libera da ciò che non siamo in grado di superare e vincere da soli e ci allena a quella relazione con Dio che, unica, può vincere in noi ogni resistenza al bene. La prima vera menzogna di cui cerca di convincerci il maligno, infatti, è che noi siamo soli e che dobbiamo farcela da soli. Egli, in realtà, ci fornisce un’interpretazione parziale e limitata della realtà (cfr. Gaudete et exultate 4-6 ); non nega la realtà ma ce la fa osservare da“ individui” mentre Dio ci guarda e ci fa guardare come “persone”: l’individuo è colui che si guarda a partire da sé, mentre la “persona” si guarda e guarda a partire dalle relazioni (cfr. Gaudete et exultate 8).
Nell’esortazione apostolica il Papa mette in evidenzia due rischi del cristianesimo odierno: quello di essere o troppo gnostico (cfr. Gaudete et exultate 36-46) o troppo pelagiano (cfr. 47-61). Nello gnosticismo tutto deve essere spiegato attraverso la ragione, mentre nel pelagianesimo tutto dipende dalla volontà. Occorre liberarsi da queste due forme di cristianesimo che ci impediscono di camminare nella santità.
La santità non è raggiungere un “ io ideale”, ma è nascosta nel nostro io reale, è seppellita nella nostra umanità e ci viene presentata da Gesù nel discorso delle beatitudini (cfr.: Mt 5,3-12) entro le quali è racchiuso il segreto della vera felicità.
Nulla di irraggiungibile! Se Dio è presente, tutto è possibile: la differenza sta nella consapevolezza di non essere soli. Noi non siamo soli! E la figura di Giuseppe ne è l’esempio più eloquente. La santità di Giuseppe sta nel fatto di essere stato capace di scegliere ciò che egli non aveva scelto, di prendersi la responsabilità di qualcosa che lui non aveva scelto per sé (cfr.: Mt 1,18-25).
La vita è più grande di quello che hai scelto! – ha ribadito più volte Don Luigi – Finché non scegliamo quello che abbiamo, continuiamo a vivere nel conflitto. Il Papa al capito IV ci presenta, poi, le principali caratteristiche della santità: la sopportazione, la pazienza, la mitezza, la gioia, il senso dell’umorismo, l’audacia, il fervore, lo spirito di comunità, l’attenzione ai piccoli dettagli dell’amore, la preghiera constante; ma tutte scaturiscono da una primaria e necessaria caratteristica: “rimanere centrati, saldi in Dio che ama e sostiene”. Senza questa fermezza in Dio, non è possibile intraprendere qualsiasi cammino verso la santità vera. Tutto, però, si ottiene mediante la vigilanza e il combattimento, non con se stessi, ma contro il male.
La nostra battaglia, infatti, non è tanto contro i nostri peccati, quanto piuttosto contro ciò che ci induce al male (cfr. Ef 6,10-20) e ciò richiede un grande discernimento, che ci viene dalla familiarità con la Parola di Dio e che ci consente di sviluppare i nostri “sensi interiori”. Tuttavia, non esiste santità cristiana che non passi dalla croce e, nel caso di Gesù, il motivo che ha spinto i farisei a prendere la decisione di metterlo a morte è stato proprio la resurrezione dell’amico Lazzaro (cfr. Gv 11,53). Lazzaro in qualche modo rappresenta ciascuno di noi: come lui anche noi non siamo meritevoli della morte di Cristo, egli rappresenta quella parte di noi che sembra non poter più rivivere, quel lato scuro che vorremmo seppellire, dimenticare, cancellare. Gesù è morto per il Lazzaro che è in noi, ma vuole che siamo noi a condurlo in quella zona invalicabile e tenebrosa per poterla risuscitare (v.34). Vuoi che in te operi la morte, perché in qualcun altro operi la vita? Il mondo non accetta l’offerta, che qualcuno paghi al posto di un altro. Ma anche noi, come Gesù, saremo santi solo se sapremo donare completamente la vita. La santità ci manda sempre “fuori” di noi, è sempre estroversa. L’amore vero è dimentico di sé e si apre all’altro. La conclusione più appropriata per questi esercizi spirituali ci è stata offerta dal capitolo 16 del Vangelo di Marco che descrive i momenti immediatamente successivi alla resurrezione di Gesù. La resurrezione è attestata paradossalmente da un’assenza: il risorto si manifesta nel fatto di “ non essere qui” (cfr. Mc 16,6). Egli allarga i nostri desideri e le nostre aspirazioni, anche se il primo impatto con questa novità suscita in noi sgomento e paura. La Pasqua, infondo, dice che la storia è più grande di nostri propositi. Dobbiamo accogliere il risorto anche quando viene dai posti più impensati e non chiuderlo nei nostri preconcetti. Ma soprattutto, per poterlo riconoscere e seguire, dobbiamo accogliere Maria come Madre. Ovunque c’è un discepolo, lì c’è sempre la Madre. Il nostro cristianesimo senza Maria è irraggiungibile. Che il Signore ci doni la grazia di fare davvero tesoro di questi preziosi insegnamenti e di deciderci oggi per la santità!
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