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OMELIA di P. Mons. Franco MOSCONE crs, Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo Messa del Trigesimo San Giovanni Rotondo – 2 gennaio 2022
OMELIA
di P. Mons. Franco MOSCONE crs,
Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo
Messa del Trigesimo
San Giovanni Rotondo – 2 gennaio 2022
Le festività che segnano il Tempo del Natale hanno tutte un tema particolare e un’icona evangelica che con facilità riempie la nostra mente e il nostro cuore. Il giorno di Natale, la nascita di Gesù, l’essersi fatto presente nella grotta di Betlemme; la domenica della Santa Famiglia, il vederlo insieme a Maria e a Giuseppe costituire il nucleo centrale dell’esistenza sociale umana; il primo giorno dell’Anno, il tema della maternità di Maria, la Madre di Dio, e del Nome di Gesù; l’Epifania, l’adorazione dei Magi, la manifestazione universale del Signore. Questa domenica che non ha nessun tema particolare, chiamata semplicemente “seconda domenica di Natale”, in realtà ci porta il tema centrale, ci porta il significato, ci presenta, per utilizzare un termine accademico, la “teologia del Natale”. Ecco … poco fa padre Gregorio, nel leggere il testo del Vangelo di Giovanni, si è trattenuto un po’ di più nell’incensazione. Forse perché dava fastidio il microfono, ma io credo che quell’incensazione di questo testo, il Prologo di Giovanni, sia un gesto profondissimo, perché ci manifesta come questo brano, alto per i contenuti teologici, profumi veramente di Natale. È questo il testo evangelico che ci porta il profumo del Natale e del significato di questa festa a cui tutti fin da bambini, in quanto credenti, siamo molto legati. Il Prologo giovanneo parla al cuore del Natale e profuma di Natale!
Ci vorrebbe tempo e più che un’omelia, è un testo che andrebbe meditato parola per parola, avrebbe bisogno di essere centellinato con lentezza e “digerito” con pazienza nella nostra mente, nel nostro cuore. Cerco allora solo di mettere in evidenza alcuni passaggi.
Innanzitutto, il primo: si tratta della prima parola, quella che ciene tradotta “verbo”, “logos” in greco. Tradotta in italiano “verbo” perché è il termine scelto da San Girolamo dottore, nella prima ufficiale traduzione della Sacra Scrittura, il quale traduce “logos” con “verbum” in latino. Cosa significa? Che cos’è questo “logos”, questo “verbum”?
Può essere tradotto in tanti modi e in effetti sono stati utilizzati tanti altri termini: innanzitutto, “parola”, poi anche “pensiero”, e potrebbe essere reso con “sapienza”, in relazione con la prima lettura che abbiamo ascoltato. Logos richiama la “logica” stessa di Dio, la vita logica di Dio che vuol parlare al mondo e all’umanità. Questo “logos” è allora anche il “principio”: San Giovanni mette insieme questi due termini “logos” e “arché” (= inizio), richiamandosi esattamente all’esordio della Sacra Scrittura, le prime parole del libro della Genesi; perché il Natale in Gesù è come una seconda creazione, è la redenzione piena della creazione, è il farsi presente oggi e adesso del principio stesso di Dio Creatore e Redentore.
La logica di Dio ha un nome, ha un verbo. Ecco, allora, ci possiamo domandare: Qual è questo verbo? Questo verbum col quale Dio agisce? È il verbo “amare”. Non c’è altro verbo che possa esprimere meglio il significato del pensiero, della logica, della sapienza, del comportamento di Dio. E Giovanni stesso dedicherà a questo verbo l’intera sua Prima Lettera. Dio è amore, Dio è carità, questo è il suo Nome. Ma l’amore di Dio non è un puro sentimento, per quanto nobile sia, ed è giusto che sia, il sentimento dell’amore. Non è neppure un comandamento o una norma morale. L’amore di Dio è spiegato al versetto 14 del Prologo di Giovanni: “logos sarx egèneto”, il “verbo si fece carne”. L’amore di Dio è un amore che si fa carne, che si inserisce concretamente, carnalmente nella storia. L’amore di Dio è carne in ogni vita, e in particolare nella vita di ogni persona umana, maschio e femmina, dal concepimento alla morte, e anche dopo in virtù della risurrezione. L’amore di Dio è il suo farsi carne in noi. Il testo del versetto 14 è straordinario: “Il verbo si fece carne” e poi prosegue la traduzione “e venne ad abitare in mezzo a noi”. Abbiamo cantato al Salmo responsoriale “ha posto la sua dimora in mezzo a noi”. Potremmo tradurre, in forma più coerente con il testo greco, “ha piantato la sua tenda in mezzo a noi”. Questa immagine del piantare, questo gesto del mettere il picchetto perché la tenda sia fissa e non si muova, è il gesto d’amore di Dio nell’umanità di ogni persona e di ogni essere vivente. Pensiamoci così, e pensiamo così il nostro prossimo, i nostri fratelli e le nostre sorelle, come un’immagine piantata di Dio su questa terra: un’immagine unica e irrepetibile, una carne che ne porta la somiglianza, quindi degna di autentico amore, diventa capace di amare a sua volta. Ecco il mistero unico, profondo, inedito del Natale: l’amore incarnato di Dio in noi, “piantato” nella terra e nella storia umana.
Nella prima lettura di ieri, presa dal Libro dei Numeri, era riportata la più antica benedizione che appare nella Sacra Scrittura, chiamata la “benedizione di Aronne”. Ogni tanto si utilizza anche nelle formule di benedizioni al termine della messa, è stata ripresa da San Francesco per cui è chiamata anche la “benedizione di San Francesco”. Tale testo fa uso dell’immagine del volto e dice: “Il Signore ti benedica e faccia splendere su di te il Suo volto”. Il volto di ogni persona è il riflesso della luce di Dio. Nessuno è Dio, ma tutti siamo in qualche modo uno specchio che ne riflette attraverso il volto la sua luce. Prestiamo, allora, i nostri volti a Dio, perché attraverso di noi risplenda la sua luce, e guardiamo nei volti degli altri, fratelli e sorelle, il riflesso di questa luce immensa che viene dal Creatore. Se faremo così, allora capiremo veramente dove sta l’amore e renderemo autentico in ogni giornata della nostra vita il mistero del Natale.
Aggiungo ancora una osservazione anche per collegarmi al motivo per cui sono stato invitato a presiedere questa Eucaristia nel ricordo della trigesima del passaggio al cielo di Padre Domenico Labellarte, fondatore.
Al termine del Prologo abbiamo professato una verità, così chiara, che ci sembra quasi banale: “Dio nessuno lo ha mai visto”. È una verità. Guardiamoci da coloro che dicono di aver visto Dio. Crediamo piuttosto a coloro che vedono le persone, gli uomini, le vedono nelle loro debolezze, nei loro bisogni e rispondono alla debolezza e ai bisogni sapendo che in quelle persone c’è Cristo Crocifisso. È questo il Dio che dobbiamo dire di aver visto e di vedere ogni giorno, non altro. Credo che un fondatore, come è stato Padre Domenico, abbia vissuto questa realtà, abbia visto questo Dio, e lo abbia detto coi fatti. E in qualche modo, proprio perché è Fondatore è diventato un Profeta, un Giovanni Battista della nostra epoca. Chi è il profeta? È colui che sa ascoltare in mezzo alla storia e alle vicende dell’umanità il sussurro della voce di Dio, che sa vedere sul volto dei fratelli e delle sorelle il riflesso del volto di Dio, è colui che sa ascoltare e vedere come ascoltava e vedeva il Signore Gesù. E poi indica per quel che può, nonostante i suoi limiti, questa presenza e questa voce agli altri, costruendo attorno a sé una comunità credente, portatore di un messaggio particolare che viene da Dio. E’ questo essere Profeta quanto dobbiamo a Padre Domenico e che, care sorelle e fratelli delle congregazioni e istituzioni da lui fondate per volere di Dio e ispirazione dello Spirito Santo, dobbiamo e dovete mantenere. È possibile continuare ad essere fedeli al carisma ricevuto nella misura in cui avremo sempre questa attenzione ad ascoltare e vedere questa presenza di Dio in mezzo a noi. È il Dio vita, è il Dio luce, è la luce che vincerà ogni tenebra.
E chiudo richiamando l’esperienza di un grande Santo, San Giovanni della Croce, che si interrogava sul riflesso della Luce (= Cristo) domandandosi come fosse possibile camminare e riconoscere la Luce in mezzo alle tenebre o peggio ancora in mezzo a tante luci che nascondono la Luce vera, luci artificiali al posto della Luce autentica. Scrive poeticamente San Giovanni della Croce: “di notte camminiamo, di notte, alla ricerca della fonte, è la sete che ci porta alla meta”. È la nostra storia, Dio non lo si vede, mentre camminiamo per trovare la fonte, la fonte della vita. Che cos’è che ci mantiene in cammino e ci dà la luce per riconoscere la fonte? È la sete, la sete di questa Luce, la sete di questo Dio. Che il Natale, che il ricordo da mantenersi sempre vivo di un fondatore come padre Domenico, ci mantenga persone assetate di Dio e allora, anche se non lo vediamo, non perderemo la via, troveremo la vita, e saremo nella Luce. Amen.
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