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FUNERALI DI DON DOMENICO LABELLARTE 13 NOVEMBRE 2021
Omelia in Mp3 di Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Franco Moscone
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OMELIA
di P. Mons. Franco MOSCONE crs,
Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo
S. Messa esequiale
San Giovanni Rotondo – 13 novembre 2021
Per me è una emozione particolare dover celebrare questa mattina le esequie di Padre Domenico Labellarte, Padre Fondatore, come abbiamo ascoltato, di diverse esperienze di vita consacrata, tanto nella forma laicale che religiosa; Padre con una vita lunga, abbondante, un autentico “patriarca”. Ho voluto lasciare i testi delle letture di quest’oggi perché mi sembra contengano dei riferimenti che ci possono aiutare a vivere questo momento e a vivere il futuro che da questo momento è maggiormente in mano agli Istituti che Padre Domenico ha iniziato grazie all’opera dello Spirito Santo in lui. C’è a mio giudizio una verità che normalmente si ripete nei fondatori, e che può essere espressa così: “Tutto nasce da una sconfitta”, da una sconfitta dell’umano per far nascere Dio nell’uomo e nel popolo. È stato così per San Francesco d’Assisi, per Sant’Ignazio di Loyola, per il mio Fondatore Girolamo Emiliani, un laico di inizio sedicesimo secolo, ma è stato così anche per Padre Pio che ha portato nella carne della sua vita i segni della sconfitta dell’umano, perché quei segni risplendessero della morte e risurrezione di Dio in lui e in noi. E in qualche modo è stato così anche per Padre Domenico.
Nella biografia che c’è stata presentata all’inizio è stato utilizzato il termine “sconfitta”. Domenico ritornava sconfitto tra i 21 e i 22 anni dall’esperienza che stava vivendo al Capranica e saliva qui a San Giovanni Rotondo: il 2 febbraio del 1943 diventa una data fondamentale nell’esperienza carismatica e di fondatore di Padre Domenico senza la quale oggi non saremmo qui ad accompagnarlo al destino finale e a riconoscerne i grandi frutti da lui seminati e che devono avere futuro. In quel due di febbraio del ’43 Domenico portava qui diverse sconfitte. Innanzitutto, la sconfitta che potremmo dire di quel momento universale, planetaria, si era nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale, il più grande disastro della storia umana del secolo scorso. Ma portava con sé anche altre due sconfitte: una la chiamerei esistenziale, un progetto di pensiero di una fraternità caritativa che non vedeva ancora completamente sorgere o di cui ne sentiva il desiderio e non trovava le modalità perché questa potesse incarnarsi e diventare reale. E soprattutto portava il suo progetto sconfitto di desiderio e di risposta in una vita sacerdotale a cui pensava ormai dover rinunciare. Ma è stato lì, in quella situazione di sconfitta personale, esistenziale e in qualche modo cosmica, che incontrò la persona e le parole che hanno dato vita e che hanno fecondato quanto lo Spirito Santo aveva messo nel suo cuore: non si era ancora reso conto completamente di ciò che quel desiderio significava nella sofferenza, nella cura e nello sviluppo. E quell’incontro con Padre Pio, persona segnata da una sconfitta continua, le cui stigmate rilucevano le piaghe gloriose del Crocifisso Risorto, diventa per il giovane Domenico l’inizio di una vita nuova e la scommessa nella fiducia totale di Dio che lo guidava ad altre mete, a mete grandi di Padre e di Fondatore, non per sé, ma per altri e per il popolo intero di Dio.
Il testo della prima lettura del libro della Sapienza porta dentro di sé proprio questo atteggiamento di silenzio e di sconfitta della creazione e in qualche modo dell’umanità, ma nello stesso tempo richiama una prospettiva: la possibilità di diventare figli di Dio e di aprire così strade per il popolo di Dio. Credo che l’esperienza di Padre Domenico di quegli anni, gli anni della guerra e della sua formazione, siano stati essenzialmente questa esperienza, la prova di un silenzio profondo che gli appariva sconfitta di una terra che sembrava incapace di generare, ma accompagnato dal grande Padre Pio scopre tutt’altro, scopre di essere amato come figlio da Dio e quindi di essere in grado, proprio per aver fatto esperienza di figliolanza, di generare altri figli a Dio e dirigerli per una missione, non a motivo di interesse personale o per chissà quali meriti e desideri, ma per una missione particolare: aprire strade nel popolo Santo di Dio. E da qui, credo, che nasce e incomincia a germogliare il carisma che lo Spirito Santo gli ha donato di essere opera della misericordia attraverso forme e esperienze varie di fraternità.
Oggi è giunta l’ora, dopo tanti anni di vita patriarcale di Padre Domenico, di poter incominciare a ricordare le grandi meraviglie compiute da Dio in lui e attraverso di lui. Tocca a voi, care sorelle e fratelli, dell’Opera della Misericordia di Padre Domenico, essere questa memoria vivente e eucaristica, perché l’eucarestia è memoria delle grandi opere di Dio, compiute in don Domenico, ma che da oggi sono affidate ai vostri cuori, alle vostre mani, alla vostra mente, alla vostra volontà. E come ricordarle perché non siano un semplice avvenimento da libro di storia o peggio ancora da museo, ma siano veramente un ricordo che si fa creazione, che si fa nuovo ogni giorno, che continua a far crescere i germogli che lui ha seminato e prodotto?
Ebbene, credo che ci siano due elementi ancora contenuti nel testo della Sapienza e nel Salmo 104 che alimentano questo ricordo creativo. Il primo è l’essere aperti continuamente all’obbedienza a Dio Padre immergendosi nella preghiera. È l’obbedienza che apre il cammino allo Spirito e che ci rende strumenti dello Spirito nel mondo e nella società. È sapere che ogni azione, ogni compito non è mai per noi, ma è un dono, un grande dono alla Chiesa e all’umanità: un dono di Vangelo. Evangelizzare non significa sempre far convertire gli altri, ma significa seminare quanto il Vangelo ha messo nei nostri cuori e nelle nostre mani. Attraverso questo atteggiamento di obbedienza e di seminagione per gli altri di dono continuo, di abbandonare sè stessi per gli altri, per la Chiesa e per il mondo, il carisma della misericordia, nato attraverso l’opera di don Domenico, potrà continuare ed essere vivo, autentico e sempre nuovo profondamente creativo e mai ripetitivo, all’altezza del momento e della storia che stiamo vivendo.
Per questo, care sorelle e cari fratelli, vivete con forza il testo di Vangelo che quest’oggi abbiamo ascoltato di fronte al feretro del vostro Padre e Fondatore. Siate capaci di pregare sempre e di pregare senza timore, senza smettere. È la preghiera continua del cuore che alimenta un carisma, dono ricevuto dallo Spirito, è lo Spirito che prega continuamente nel cuore, come ci dice San Paolo, e credo che Padre Domenico lo abbia sperimentato e lo abbia testimoniato a voi, voi che avete la gioia di aver conosciuto il Fondatore e a cui tocca e toccherà passare il carisma a chi non l’ha conosciuto, a chi non potrà conoscerlo dal punto di vista umano, ma sì dal punto di vista della vittoria di Dio in voi. E l’altro aspetto è quello dell’essere operatori di giustizia. Non c’è misericordia senza giustizia. La parola più ripetuta nel testo del Vangelo era proprio “giustizia”, parola per di più affidata secondo la parabola di Gesù ad un avvocato ingiusto ad un giudice ingiusto. L’obbedienza pregata e la lotta per la giustizia rendono il carisma espressione delle beatitudini.
Di fronte al feretro del Padre Fondatore possiamo ripetere la certezza che Dio utilizza le nostre sconfitte per fare e operare le Sue vittorie: saranno vittorie per la Chiesa e per l’umanità, avranno il profumo di un dono particolare dello Spirito, costituiranno opere di giustizia che rinnoveranno la Chiesa e l’umanità. A voi questo impegno da oggi più che mai, dal giorno in cui il Padre vi ha lasciato dal punto di vista umano, ma vi ha consegnato con forza tutta la sua eredità: i doni che lo Spirito Santo gli aveva regalato perché vi fossero trasmessi. Amen.
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