Passione di Gesù
23 ottobre – Punto III – Gesù è condannato a morire in croce
Gesù è condannato a morire in croce
Punto III – Mentre viene letta la sentenza della sua morte, Gesù rimane immobile davanti a Pilato in un atteggiamento da colpevole. Ma, visto che ha assunto tutta la debolezza umana, quanto dev’essere grande la pena del suo cuore nell’udire quell’ingiusta condanna! Non possiamo infatti dubitare che Egli soffra tutto il tormento e lo spavento che provano i condannati al patibolo, anzi soffre con un’intensità molto maggiore, perché la sua sensibilità non è comune. Ma la parte superiore dell’anima quanto generoso coraggio irradia! Egli non cerca di sfuggire alla morte, ma le va incontro e l’affronta deciso a vincerla.
Riflessione – Gesù potrebbe far valere le sue ragioni, lamentarsi dell’ingiustizia ed appellarsi ad un giudice di grado superiore, ma non lo fa. Quando i Giudei si erano ribellati contro di Lui stringendo in pugno delle pietre, Egli aveva domandato loro per qual motivo volessero lapidarlo. Ora non chiede perché lo si voglia crocifiggere, non oppone alcuna resistenza, ma tace e non si sdegna né contro Pilato né contro i Giudei, anzi, li compatisce. Benché la sentenza sia ingiusta l’accetta volentieri, consapevole di dover morire per i delitti degli altri.
Vedi, anima mia, come in Gesù si distinguano sia la fragilità dell’uomo che l’eccelsa virtù di Dio. Egli è venuto a redimere l’uomo superbo con l’umiliazione, ma senza che in alcun modo fosse avvilita la maestà del Redentore. Ed è in quest’Uomo-Dio che la Sapienza divina ha voluto darci un modello per la nostra vita. Proviamo, però, a domandarci che cosa abbiamo effettivamente imparato riflettendo sulla mansuetudine, sull’umiltà e sulla pazienza con cui Gesù ascolta la sentenza della sua morte, per liberare noi dalla morte eterna. E chiediamoci anche se abbiamo avuto qualche beneficio dall’esempio che Gesù ci dà delle virtù che ha praticato fino al punto di sopportare la perdita della vita e dell’onore.
Colloquio – Gesù mio, ricevere un’offesa o un torto è un’occasione che tu hai preparato per rafforzarmi nell’umiltà e per imitarti. Ma io non ne approfitto e mi lascio andare ad atti di superbia e d’ira che sono di cattivo esempio per gli altri. Degnati, Signore, di fortificarmi con il tuo spirito d’umiltà e di pazienza, tanto da far nascere in me un profondo desiderio di imitarti. Fa’ che io ami il tuo onore e non il mio, la tua soddisfazione e non quella dei miei sensi. Concedimi inoltre di darti gloria sopportando in pace le avversità che la tua amorosa Provvidenza vorrà mandarmi non tanto per castigarmi, quanto per mortificare il mio amor proprio, per farmi fare penitenza e salvarmi.
Pratica – È una regola rigida quella di accettare con umiltà il disonore, ma diventerà dolce e soave se mi ricorderò che Gesù ha sopportato di essere trattato da infame e di essere condannato alla croce.
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