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La sofferenza come comprensione di sè
Il 9 Novembre scorso Sr Maria Bernadette ha conseguito la laurea in Scienze dell`educazione e della formazione presso LUMSA cioè la Libera Università Maria Santissima Assunta. Riportiamo di seguito un sunto della sua tesi.
Chi può dire di non aver mai sofferto o può affermare che non soffrirà mai…? La sofferenza tocca tutti, indistintamente, però rimane per molti incomprensibile e senza valore. Questo è stato il motivo per cui ho scelto di riflettere sulla necessità di trovare un senso all’esperienza del dolore così che la sofferenza non sia soltanto vista nel suo aspetto negativo ma possa diventare motivo di crescita umana e spirituale.
Ho dato inizio a questo mio lavoro cercando di capire l’atteggiamento dell’uomo di oggi di fronte al dolore. L’uomo contemporaneo ha perso ogni punto di riferimento e fugge questa situazione vivendo in modo superficiale. Quando viene toccato dall’esperienza del dolore entra in crisi, la rifiuta, perché rappresenta la sua limitatezza, la sua condizione di uomo fragile e mortale. Questo rifiuto si esprime in due modi: la non accettazione della sofferenza fisica che l’uomo cerca di ridurre al minimo aiutandosi della scienza, e la ricerca sfrenata del benessere che spinge l’uomo a vivere fuori della realtà perché rincorre il sogno di un benessere che non sarà mai raggiungibile totalmente. Di conseguenza vediamo sorgere con maggiore intensità una certa sofferenza morale e psichica: lo dimostra oggi la moltiplicazione delle depressioni e delle terapie psicologiche e psichiatriche. La sofferenza risulta un problema da affrontare, non da fuggire e per questo occorre formare l’uomo di oggi e di domani a poter superare le prove.
Nella seconda parte del mio studio ho approfondito la sofferenza in prospettiva psicologica. Ho presentato il pensiero della logoterapia, una branca della psicologia, fondata da V. E. Frankl che si propone di aiutare le persone in situazione di crisi esistenziale o dovuto al dolore affinché possano ritrovare un senso alla propria vita, integrando gli eventi difficili e le esperienze dolorose che vivono. Frankl ritiene che non sono gli eventi felici o meno che danno felicità all’uomo ma il modo nel quale essi si accolgono. La logoterapia non dà un senso alla sofferenza ma si propone come aiuto affinché gli eventi negativi della vita possano essere motivo di crescita umana. In effetti l’esperienza del dolore porta a migliorare la conoscenza di noi stessi e spinge a superarsi trovando dentro di noi le risorse necessarie per uscire dalle prove.
In un terzo momento ho portato la riflessione in campo religioso. L’uomo soffre a causa del male che è una mancanza, una limitazione di bene. La nostra condizione originale di perfezione è stata macchiata dal peccato originale. Questo è stato l’evento che ha fatto entrare il male nel mondo. La lotta dell’uomo di ogni tempo contro il male interiore ed esteriore, viene dunque vista come strumento che porta al raggiungimento della perfezione originaria. Il Magistero della Chiesa risponde ai nostri interrogativi sul perché della sofferenza, ci dice che esiste il dolore legato alla colpa vista come frutto del peccato, e il dolore che ha carattere di prova, per dimostrare la giustizia e la fedeltà dell’uomo. E poi dietro alla sofferenza c’è anche un valore educativo. Dio che è Padre vuole correggerci perché possiamo realizzare in noi ciò che ha pensato dalle origini, cioè la nostra perfezione ed unione con il sommo bene. Dio, dunque, per vincere il male presente in noi, ci ha mandato il suo Figlio. Cristo per mezzo della sua Croce sceglie per amore, di prendere su di sé la nostra sofferenza. Egli dona Se stesso non qualche cosa, per evitarci la morte eterna, che è il vero male in assoluto. Con la sua morte toglie da noi il dominio del peccato e della morte e ci dà la speranza di una felice eternità. Ed è questa speranza poi, che ci fa vivere in modo diverso ogni evento perché ci porta a considerare ogni cosa in funzione di un fine ulteriore. In questa prospettiva anche il dolore prende senso.
Infine ho portato la mia riflessione in campo educativo. Ho voluto proporre alcune soluzioni al problema della fragilità dell’uomo di fronte al dolore perché considero necessario preparare i figli a poter superare le prove che incontreranno durante la vita. Nella sua Lettera alla diocesi di Roma scritta il 21/01/2008 sul compito urgente dell`educazione, Papa Benedetto XVI dice che “la sofferenza fa parte della verità della nostra vita, perciò, cercando di tenere al riparo i più giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore, rischiamo di far crescere, nonostante le nostre buone intenzioni, persone fragili e poco generose”.
- Occorre dunque educare alla conoscenza e all’accettazione della propria condizione umana che è una condizione di limitatezza, di imperfezione e di mortalità. Questo è importante perché la nostra epoca si illude di vivere nel tempo del “tutto possibile”, portando i nostri giovani a vivere fuori della realtà. In questo l’educatore può aiutare in diversi modi:
– rendendo visibile al bambino la sua limitatezza nelle piccole cose della vita
– sostenerlo negli insuccessi (aiutandolo ad accettare ciò che può essere cambiato e ad accettare ciò che non lo può essere)
– rilanciare la pedagogia dell’ostacolo (ritrovando il coraggio di dire di no ai bambini)
– rieducare al sacrificio perché porta la volontà in palestra.
- D’altra parte è necessario anche aiutare i nostri giovani a capire il senso del dolore nella propria vita, questo in effetti è importante per tre motivi:
– per la costruzione del loro sé considerando la sofferenza come una potenzialità nella vita del bambino che debba essere indirizzata nel modo giusto affinché non crolli sotto al suo peso ma riesca a superarla e a crescere grazie ad essa. L’educatore cercherà di favorire un rapporto fiducioso con il bambino e di mantenere un giusto equilibrio tra la libertà del bambino e il giusto uso dell’autorità.
– per esercitare le virtù che aprono alla solidarietà e sviluppano la loro capacità di amare, insegnando a non rinchiudersi egoisticamente sul proprio dolore, proponendo Cristo come modello di solidarietà umana e incoraggiando ad impegnarsi nel sollievo della sofferenza altrui.
– per sperimentare e far sperimentare la potenziale ricchezza racchiusa nel dolore, insegnando ad andare oltre al proprio dolore per poterlo trasformare in ricchezza. L’educatore deve dunque mettere il giovane a contatto con testimoni che vivono l’esperienza del dolore in modo “positivo” affinché siano per loro di esempio.
In conclusione di questo lavoro credo che occorre prima di tutto proporre al mondo la speranza. In effetti, i giovani hanno bisogno di sperare in un mondo migliore, che possano costruire loro stessi. Da questa speranza scaturirà il desiderio di impegnarsi anche con sacrificio per ciò che è buono e giusto. Tocca a noi adulti a sperare e a dare speranza: speranza da porre nell’educazione e speranza da porre soprattutto in Dio, Autore della vita, perché l’educazione è prima di tutto fiducia nella vita e nelle sue potenzialità.
Sr Maria Bernadette IUNG
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